Parole, parole tra noi
Verso l’uso di un linguaggio più equo
Verso l’uso di un linguaggio più equo
Se nella vita ti occupi di scrittura o di traduzione, negli ultimi anni avrai sicuramente seguito l’evolversi della questione del linguaggio inclusivo.
Di cosa si tratta? Comunicare in modo inclusivo significa tenere sempre a mente che la società è un recipiente colorato all’interno del quale confluiscono diverse sfumature: genere, orientamento sessuale, etnia, età, credo religioso e altre ancora.
Se il primo corso universitario di Gender Studies è stato offerto alla Humboldt-Universität di Berlino già alla fine degli anni Novanta, in Italia, il dibattito si è acceso soprattutto a partire dal decennio 2010, intorno ai nomi delle professioni al femminile. Avvocata, ministra, rettrice, sindaca sono termini che troviamo sempre più spesso nei testi che leggiamo, sebbene il Senato ne abbia da poco bocciato l’introduzione ufficiale. Nel 2019 Vera Gheno – sociolinguista, traduttrice e docente universitaria – ha proposto di introdurre lo schwa (ə), un simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale, per esprimere il genere neutro, abbracciando così l’unicità di sfumature presenti nella nostra quotidianità.
Al di là delle implicazioni sociali, politiche e culturali – la questione esiste, e dunque non può essere ignorata. La lingua è viva e in continua evoluzione; le parole sono atti di affermazione individuale, che registrano i cambiamenti sociali e veicolano la visione del mondo che abitiamo: cercare di usarle al meglio è la nostra sfida.
Mentre la lingua inglese è neutral gender, quella italiana utilizza il genere grammaticale: per convenzione linguistica, il maschile predomina quando si descrivono gruppi di persone di genere misto. Si parla quindi di maschile sovraesteso. Essendo tuttavia l’italiano – per nostra fortuna – una lingua ricca, complessa e meravigliosa, esistono soluzioni creative che ci aiutano a evitare di usare questa forma ritenuta discriminatoria.
Come? Per esempio attraverso l’uso di perifrasi che ci consentono di evitare l’uso del participio passato: come diceva Rodari, “la creatività va coltivata in tutte le direzioni”. Anche esplorando il linguaggio, per renderlo più accogliente.
Facciamo qualche esempio pratico: preparati a dare spazio alla tua inventiva!
Un altro cruccio ricorrente per chi si occupa di content creation è il “Benvenuto!” che appare spesso nelle homepage dei siti web. Anche in questo caso si può optare per una forma più inclusiva: da un amichevole “Ciao!” a formule come “Ti diamo il benvenuto!” fino a frasi più creative come “Inizia qui il tuo viaggio in (nome azienda). Buona navigazione!”.
A questo proposito, sapevi che la compagnia aerea Lufthansa ha modificato il suo saluto di arrivo a bordo? Dal 2021 infatti il “Benvenuti a bordo” è stato sostituito con un più generico (e neutro) “Buongiorno/Buonasera”.
La sensibilità intorno a questo tema è sempre più marcata: un processo che testimonia l’evoluzione continua delle lingue.
A proposito di evoluzione, una curiosità: Google si impegna attivamente per diminuire il pregiudizio di genere, migliorando l’algoritmo dell’applicazione Google Traduttore. Inserendo la parola inglese friend, in italiano viene infatti restituita la traduzione sia in forma maschile che femminile. Anche l’intelligenza artificiale aderisce quindi a questo processo di adattamento.
Usare un linguaggio inclusivo non è solo una battaglia di chi lavora nella comunicazione: è possibile anche nella vita di tutti i giorni. E se soluzioni come l’utilizzo di schwa (ə) , asterischi (*) o chiocciole (@) possono apparire delle scomode forzature, sono pur sempre segnali che evidenziano una lacuna e un tentativo – che sia riuscito o meno si vedrà – di apertura. Un’aria di cambiamento sempre più sentita: nel 2021, l’amministrazione del Comune di Castelfranco Emilia ha scelto di usare lo schwa in alcuni post della sua pagina Facebook, rivolgendosi a tuttə “come esercizio di cura e attenzione verso le persone”.
Bastano piccoli accorgimenti per rendere la lingua scritta e parlata più equa. Alla lezione universitaria troverai una classe (e non un gruppo di studenti); l’insieme delle persone che recitano in un film si chiamerà cast (e non attori); a combattere una pandemia ci sarà il personale medico e infermieristico (e non dottori e infermieri).
Possiamo quindi scegliere di comunicare il valore aggiunto di un linguaggio inclusivo, che accolga target di riferimento più ampi. Le parole sono potentissime: sceglierle con cura e riflettere sul loro uso è quello che possiamo fare per dare voce a un futuro più paritario – dove poter valorizzare la nostra unicità.